Un po’ di Storia

L’U.I.C.I. tra storia e realtà

Come è noto, l’atto di fondazione dell’Unione Italiana Ciechi si compie a Genova il 26 ottobre 1920. Esso è il frutto della convergenza, realizzata da Aurelio Nicolodi e dai suoi più stretti collaboratori, fra gruppi e comitati di ciechi già esistenti, quali quello dei musicisti, quello dei maestri operanti negli istituti, quello dei ciechi di guerra.

Il più organizzato, tra essi, è il Comitato Pro Pensioni, sorto a Firenze nel 1919 che, fin dall’inizio, riesce a far conoscere all’opinione pubblica i suoi programmi e i suoi obiettivi attraverso la pubblicazione de Il Corriere dei Ciechi. Ciò costituisce la premessa per l’insediamento, nel capoluogo toscano, dell’Unione Italiana Ciechi, di cui il Comitato Pro Pensioni, costituito dai Ciechi di guerra, rappresenta il nucleo forte.

Firenze diventa, così, il punto di riferimento nazionale per il processo di riscatto dei non vedenti promosso dall’Associazione che, con il Regio Decreto del 1923 sarà ufficialmente investita, nella sua veste giuridica di Ente Morale, del ruolo di rappresentanza e di tutela degli interessi dei privi della vista.

Di qui, per oltre un ventennio, la Presidenza Nazionale dell’Unione guiderà il cammino dei privi della vista verso l’obiettivo della integrazione sociale, promuovendo idee e strategie del tutto nuove in materia di assistenza, istruzione e lavoro.

Sullo sfondo di questo impegno, sorgeranno a Firenze iniziative e strutture destinate, nel loro insieme, a costituire un polo di attrazione per i non vedenti dell’intero Paese: nel 1924 è stata costituita la Stamperia Nazionale Braille, nel 1929 nasce la Scuola Nazionale Cani Guida Per Ciechi, la prima, nel suo genere, in Europa. Nel 1930 è stato inaugurato con grande solennità, alla presenza di Vittorio Emanuele III, il nuovo Istituto Nazionale per Ciechi che avrebbe avviato, tra l’altro, i primi corsi di “massaggio”, destinati a diventare un modello per tutta l’Europa e ad aprire una nuova strada per l’inserimento dei ciechi nel mondo del lavoro. Nel 1934, infine, si posero le basi per la costituzione dell’Ente Nazionale di Lavoro per Ciechi, una interessante esperienza, per quegli anni, di lavoro integrato e protetto, di cui il calzaturificio e il maglificio di Firenze rappresentavano le strutture più efficienti, sia sotto il profilo della produttività, sia sotto il profilo delle potenzialità occupazionali. Si capisce, così, come Firenze, a poco a poco, fosse considerata la meta ideale per una emigrazione tutta speciale che conduceva nella Città toscana tutti quei ciechi, cui, finalmente, si aprivano nuove prospettive per soddisfare i loro bisogni primari di istruzione e di lavoro. La Cittadinanza li accolse con slancio e generosità, come mostrano i cospicui lasciti destinati, soprattutto, all’Istituto Vittorio Emanuele II, che acquisirà, nel corso del tempo, un patrimonio di notevole rilevanza economica.

Con la fine della seconda Guerra Mondiale e il passaggio della Presidenza Nazionale dell’Unione Italiana Ciechi da Aurelio Nicolodi a Paolo Bentivoglio, la Sede Centrale dell’Associazione si trasferiva a Roma, ma la Sezione fiorentina sarebbe stata ancora al centro dello scenario associativo. Una decina di anni più tardi, allorché, l’11 maggio 1954, un gruppo di ciechi con il sostegno della Sezione stessa, dell’Amministrazione Provinciale di Firenze e di un Comitato spontaneo vicino all’On. Orazio Barbieri e all’On. Giovanni Pieraccini, iniziò, a piedi, con lo stupore e l’ammirazione dell’intera opinione pubblica nazionale, la cosiddetta “marcia del dolore” verso Roma. L’obiettivo era il conseguimento di una pensione che riconoscesse, in termini economici, a norma dell’art. 38 della Costituzione, i pesanti condizionamenti derivanti dalla cecità. L’impressione suscitata dall’avvenimento fu enorme e alla fine il Parlamento, nonostante il parere negativo del Governo di allora, votò a stretta maggioranza la concessione del cosiddetto “assegno vitalizio” per i ciechi civili in condizioni di bisogno.

Fu un risultato di grande portata storica, perché rappresentò la prima pietra nella costruzione dello Stato sociale e perché determinò nel Parlamento nuovi equilibri politici che non coincidevano con la maggioranza da cui era sostenuto il Governo di Mario Scelba.

La vitalità dell’Unione in Toscana si sarebbe rivelata, successivamente, con l’affidamento, dal 1965 al 1980, della Presidenza Nazionale dell’Associazione a Giuseppe Fucà, calabrese di nascita, ma fiorentino di adozione.

Attualmente, operano in due strutture associative di interesse nazionale: il Centro Giuseppe Fucà di Tirrenia, per soggiorno vacanze e stages riabilitativi; uno dei centri di registrazione e di distribuzione del servizio nazionale del Libro Parlato.