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I disabili visivi verso professioni non protette da leggi speciali: quali competenze e quali accorgimenti per una concreta integrazione professionale?

Di Vanessa Cascio

Premessa

Se fino a pochi anni fa il lavoro dei disabili visivi era caratterizzato da una unica, principale professione di massa, il centralinista telefonico, occorre, ora, rendersi conto che sempre più sta diventando difficile questa prospettiva.
Colpito da un mercato del lavoro globalizzato, mutevole e in evoluzione, il lavoro di operatore telefonico  diminuisce a vista d’occhio. Già da  diversi anni, al riguardo, i dirigenti dell’Unione Italiana Ciechi e Ipovedenti riflettono su nuove opportunità lavorative, sfruttando le abilità comunicative  dei non vedenti. Grazie alle professioni equipollenti e grazie alla riforma della legge 113/85 si otterranno buoni risultati per garantire il mantenimento delle professioni protette da leggi speciali, che devono essere accessibili a tutti: a chi perde la vista in età adulta, a chi ha ulteriori difficoltà oltre a quella visiva, a chi semplicemente non ha intenzione di   proseguire negli studi universitari.
Garantire professioni protette da leggi speciali, dare un’opportunità lavorativa a tutti i ciechi e gli ipovedenti è un dovere della nostra associazione e occorre dunque continuare a farlo.
Tuttavia, nel turbine degli interrogativi derivanti da questo mercato in continua evoluzione, chi scrive si è posto ulteriori domande:
E’ possibile competere nel mercato del lavoro non protetto da leggi speciali rivolte ai ciechi? Con quali competenze?
Il lavoro di  ricerca presentato nelle pagine che seguono è stato sviluppato all’interno di una tesi di Laurea Magistrale in Scienze dell’Educazione Permanente e della Formazione Continua discussa nel Marzo 2016 presso l’Università di Bologna – scuola di Psicologia e Scienze della Formazione, e nasce dall’esigenza personale di chi scrive e di numerosi giovani studenti universitari con disabilità  visiva.
I giovani universitari, pur  non rappresentando la maggioranza della categoria, al termine del percorso di studio devono fronteggiare non solo le difficoltà che hanno tutti i giovani nel trovare un’occupazione corrispondente ai loro studi, alle loro competenze e alle loro aspirazioni, ma sono ostacolati anche dai pregiudizi e dalle barriere fisiche, percettive e culturali causate dal deficit.

1. Introduzione al lavoro di ricerca

Nella tesi di laurea, prima di entrare nel vivo dell’indagine è stato necessario analizzare il rapporto tra disabilità visiva e lavoro  descrivendo come si è arrivati a disciplinare con apposite norme le  professioni protette da leggi speciali per i ciechi (ovvero il centralinista ed il massofisioterapista) e di come oggi tali professioni stiano scomparendo.
Successivamente è stato analizzato il concetto di competenza, con un approfondimento delle otto competenze chiave per l’apprendimento permanente (o competenze chiave del cittadino) definite nel 2006 dalla Commissione Europea.
In ultimo, tramite una ricerca empirica, l’autrice si è proposta di indagare la situazione occupazionale di persone che attualmente svolgono professioni non protette da leggi speciali per i ciechi e dei loro percorsi di carriera: quali professioni svolgono? Che titolo di studio posseggono? Quali tra le 8 competenze chiave del cittadino, secondo questi soggetti, è opportuno possedere? Quali difficoltà hanno trovato nell’accesso al lavoro? Come le hanno superate?
L’ipotesi di partenza è che il possesso di quattro delle competenze chiave del cittadino, oltre ad alcune soft skills (un’accentuata determinazione verso gli obiettivi, motivazione e tenacia), ed il possesso di specifiche abilità nell’utilizzo degli strumenti tifloinformatici e nell’orientamento e mobilità delle persone non vedenti, possano costituire elementi di predizione del successo lavorativo in professioni non protette da leggi speciali per i ciechi.
Lo scopo principale della ricerca è stato, quindi, quello di acquisire le opinioni, le percezioni e le esperienze dei soggetti intervistati rispetto alle loro competenze trasversali in ambito professionale.
Inoltre, ai fini di questo studio è stato ritenuto importante analizzare le opinioni e le esperienze degli intervistati rispetto ad alcuni temi quali le loro capacità di orientamento e mobilità autonoma, il loro rapporto con l’aggiornamento professionale e la formazione continua e le difficoltà riscontrate a livello lavorativo e come queste sono state superate.
A tale scopo è stata utilizzata una tecnica di raccolta dati di tipo qualitativo, ovvero l’intervista semi-strutturata.

1.1 Gli obiettivi della ricerca empirica

  • Verificare se la popolazione in oggetto ritiene di possedere e/o ritiene importanti le quattro competenze chiave che si era ipotizzato essere necessarie per svolgere professioni alternative all’operatore telefonico o al massofisioterapista: 1. competenze interpersonali, 2. competenze digitali, 3. spirito di iniziativa e imprenditorialità, 4. capacità di apprendere ad apprendere;
  • Comprendere come le persone si siano organizzate per raggiungere il posto di lavoro e verificare se e quanto siano importanti secondo loro le abilità legate all’orientamento e alla mobilità autonoma dei ciechi e per quale ragione;
  • Conoscere il punto di vista circa l’importanza di possedere abilità legate all’utilizzo di tecnologie assistive e sul ruolo che queste possono giocare nell’attuale mercato del lavoro;
  • Verificare se la popolazione oggetto della ricerca ritenga importante lo sviluppo / il mantenimento delle competenze e delle abilità menzionate in precedenza;
  • Identificare condizioni fisiche, tecniche e organizzative che hanno facilitato l’inclusione nel posto di lavoro;
  • Individuare le principali barriere/ostacoli riscontrate nel percorso professionale  legate alla disabilità e come queste siano state superate;
  • Ottenere suggerimenti su come potrebbe  essere migliorata la situazione occupazionale delle persone non vedenti, in particolare dei giovani, i quali desiderano intraprendere percorsi di carriera nuovi.

2. Il campione

Il  campione dello  studio qui descritto, composto da venti soggetti, è stato costituito in termini non probabilistici in quanto non è fondamentale garantire la rappresentatività in indagini di tipo qualitativo. In ogni caso, le caratteristiche richieste agli intervistati sono state le seguenti:

  • persone cieche assolute o cieche parziali residenti in Italia;
  • di età compresa tra i 25 ed i 65 anni;
  • con una professione non tradizionale, ovvero non protetta da leggi speciali per i ciechi.

Le persone che hanno manifestato disponibilità a collaborare alla ricerca sono state 55 di cui le professioni svolte erano le più disparate: programmatore informatico, musicista, docente di scuola superiore o università (in varie materie quali ad esempio musica e lettere), ingegnere del suono, speaker radiofonico e doppiatore, selezionatore del personale, scultore, impiegato amministrativo presso enti pubblici e aziende private, scrittore, giornalista, addetto alla gestione del sito web e della comunicazione, training assistant, formatore in ambito informatico e di tecnologie assistive, guida a Dialogo nel Buio (mostra al buio su pianta stabile presso l’Istituto per Ciechi di Milano), dirigente, organizzatore di eventi, imprenditore, ecc.
Dopo aver creato due liste, una composta da uomini ed una da donne sono stati selezionati casualmente da ogni lista dieci  soggetti di sesso maschile e dieci di sesso femminile, per un totale appunto di 20 soggetti intervistati.
Le persone coinvolte presentavano per la maggior parte cecità assoluta (diciassette  su venti) di cui cinque l’hanno acquisita in giovane età (fino ai trenta anni).
L’età media degli intervistati è stata di trentasette anni.
Il titolo di studio maggiormente posseduto è risultato la laurea vecchio ordinamento o laurea magistrale (diciassette su venti).
Due possedevano il diploma di scuola media superiore e solo una la laurea di I° livello.
Nove persone sono impiegate in aziende private, cinque in enti pubblici, quattro sono liberi professionisti e  due lavorano sia come liberi professionisti che in enti pubblici.
Tra coloro che lavorano in enti pubblici, due sono stati assunti a seguito di tirocinio, per mezzo di una chiamata nominativa del centro per l’impiego (rivolta alle categorie protette legge 68/99). Gli altri tre hanno invece sostenuto un  concorso rivolto alle categorie protette (legge 68/99).
Tra coloro che lavorano in aziende private, cinque hanno trovato lavoro tramite conoscenze o passa parola, uno a seguito di un tirocinio nella stessa azienda, due tramite colloquio di selezione (dopo aver inviato il CV), e solo uno grazie al lavoro svolto dall’ufficio del Collocamento Mirato legge 68/99 della sua provincia

3. I risultati dell’indagine

Trattandosi di una ricerca di tipo qualitativo non è stata fatta una analisi meramente quantitativa dei dati ricavati. È stato ritenuto utile calcolare la frequenza solo relativamente ad alcune variabili come, per esempio, quante persone utilizzano lo screen reader Jaws. Per il resto, si è cercato di descrivere i punti di vista degli intervistati riportando quello che loro stessi hanno affermato ed argomentando su quanto è emerso.

3.1 Competenze digitali e abilità nell’uso delle tecnologie assistive

Come facilmente immaginabile, il 99% dei soggetti intervistati ha dichiarato di utilizzare il computer per la propria professione o per aspetti derivanti dall’attività lavorativa. Soltanto una persona ha dichiarato di utilizzare solo l’iphone per la gestione del proprio lavoro.
A livello di software applicativi, quelli più usati nel settore lavorativo sono  stati in ordine Excel, Word, Internet o Intranet aziendale ed il pacchetto Office in generale. Poi ci sono ovviamente software specifici utilizzati in base alla mansione svolta. Si va da software per l’audio editing o per la composizione musicale, a software per la programmazione o applicativi aziendali per la teleassistenza.
Per  quanto riguarda le competenze digitali e l’uso delle tecnologie assistive, è importante segnalare che anche tra coloro i quali utilizzano lo screen reader Jaws ai fini lavorativi si sta diffondendo l’uso del sistema Mac OSX per gestire aspetti ludici o personali estranei al lavoro.
Rispetto al passato è significante rilevare come la pervasività delle nuove tecnologie, ed in particolare quella delle  tecnologie touchscreen accessibili della Apple stia influenzando le modalità di lavoro delle persone, anche dei ciechi assoluti e parziali. Questi nuovi impieghi della tecnologia facilitano la nostra categoria a livello professionale, permettendoci di fare cose prima inimmaginabili. Una insegnante, ad esempio, ha raccontato di usare l’Iphone come traduttore per poter meglio comunicare con i suoi studenti stranieri! Uno scultore, invece, ha raccontato di utilizzare la stampante 3D per poter toccare delle riproduzioni di oggetti che non ha mai toccato prima, così da poterli scolpire sulla pietra o sul marmo.
Per alcuni giovani lavoratori il Braille, tramite l’ausilio della barra Braille, resta uno strumento fondamentale sia per lo studio che per svolgere professioni scientifiche o che implichino l’utilizzo delle lingue straniere. Una insegnante di musica non vedente afferma, ad esempio, che per insegnare la musica il Braille è fondamentale e che non è possibile leggere uno spartito dall’Ipad.
La dematerializzazione del lavoro e l’impiego dei sistemi informatici sta diminuendo l’uso dello scanner. I software di OCR restano, tuttavia, molto usati per digitalizzare documenti cartacei precedentemente redatti al computer.
Un’altra difficoltà a dir poco frustrante, spesso riscontrata nelle amministrazioni pubbliche, è quella relativa all’utilizzo di banche dati dove i documenti sono digitalizzazioni di fogli scritti a mano, e pertanto impossibili da leggere con qualsiasi tecnologia assistiva. Un dipendente pubblico dichiara:  “e’ frustrante andare da un collega e dirgli, c’è un documento formato immagine me lo puoi leggere? Tante volte i non vedenti non possono  portare a termine un incarico che gli viene dato, perché non sono autonome nel leggere gli atti, i documenti” (4, M, 34 anni).

Quasi tutti i soggetti hanno lamentato il fatto che vi sono applicativi aziendali non accessibili alla disabilità visiva e che in un modo o nell’altro hanno dovuto trovare soluzioni alternative o rinunciare allo svolgimento di determinate mansioni. Questa sembra essere una delle principali problematiche riscontrata da molte persone  che lavorano sia presso enti pubblici che privati. Occorre, al riguardo, che l’UICI attui una azione di formazione e sensibilizzazione nei confronti di produttori e software house affinché gli applicativi possano essere maggiormente accessibili anche a chi non vede.
Alla domanda “Quanto è importante nelle professioni non tradizionali saper utilizzare le tecnologie dell’informazione e della comunicazione e le tecnologie assistive?”, tutti, anche tra coloro che utilizzano tali tecnologie solo per aspetti secondari del lavoro, hanno risposto “importantissimo”, “fondamentale”, “determinante”.
Due di loro argomentano così: “io già prima di iniziare a lavorare mi ero messo a studiare excel, a cercare di capire come potevo fare determinate cose su Excel” (10, M, 25 anni), “È indispensabile, se vuoi essere alla pari con gli altri, devi utilizzare quei programmi che ti aiutino a superare quelli che sono i tuoi limiti” (8, F, 57 anni).

3.2 Partecipazione a corsi di aggiornamento professionale e formazione continua

Rispetto a questo tema, uno dei risultati maggiormente  significativi è relativo all’accessibilità  dei corsi.
In generale, gli intervistati hanno identificato due tipi di corsi: a distanza e in presenza.
Il problema maggiormente riscontrato è, appunto, l’inaccessibilità del corso, ovvero costruito in modo tale da non tener conto degli utenti non vedenti.
Per quanto riguarda i corsi a distanza, frequentati sul web, è stato affermato che spesso i corsi sono offerti tramite piattaforme e-learning non completamente accessibili ed userfriendly ad utenti che utilizzano lo screen reader.
Le strategie per poter usufruire di tali corsi sono basate sulla solidarietà da parte dei colleghi o dei docenti. Alcuni esempi forniti  dagli intervistati sono: colleghi che leggono i testi presenti in piattaforma, che commpilano per la persona non vedente i quiz online, docenti che si rendono disponibili per lezioni individuali, ecc.
Anche per quanto riguarda i corsi in presenza vi sono le stesse difficoltà e le strategie per poterli frequentare si basano sulla disponibilità  dei colleghi e dei docenti: colleghi che supportano la persona non vedente per leggere la lavagna o i testi che vengono forniti, diapositive lette dai docenti o fornite su file Doc o Pdf.
Seppur consapevole che non sia possibile creare una metodologia che renda completamente accessibili i corsi in presenza, di più si potrebbe fare per le piattaforme su cui vengono forniti corsi a distanza. Azioni di formazione e informazione potrebbero essere poste in essere.
Inoltre, rispetto a ciò, alcuni intervistati hanno sottolineato  le difficoltà nei  corsi di aggiornamento professionale obbligatori, come ad esempio i corsi per la sicurezza in azienda. Per questo ultimo tipo di corsi, in particolare, secondo chi scrive la nostra associazione dovrebbe garantire la piena accessibilità per i lavoratori con disabilità visiva, affinché, come lavoratori, abbiano lo stesso diritto di fruire del corso di aggiornamento come i colleghi normovedenti.

3.3 Accorgimenti e strategie per un migliore inserimento lavorativo

Ai fini della ricerca sono stati considerati tre tipi di accorgimenti (o strategie)  attuati dagli intervistati per inserirsi meglio nel loro posto di lavoro, essere più produttivi e partecipare attivamente alla vita nell’ambiente lavorativo; potremmo definirli accorgimenti di tipo fisico, organizzativo e tecnico.
Accorgimenti organizzativi: assegnazione di mansioni differenti (in modo ufficiale o non), differente orario di lavoro (ad esempio tramite il part-time), utilizzo di permessi (quali quelli previsti dalla legge 104/92),, ecc;
Accorgimenti tecnici: utilizzo di ausili tiflologici e non, illuminazione particolare, ecc.
Accorgimenti fisici: disposizione differente di oggetti, spazi, percorsi tattili sul pavimento, ecc.
E’ opportuno precisare che questa  categorizzazione può non essere esaustiva ed è stata definita dall’autrice secondo una valutazione del tutto personale.
In questo ambito è stato interessante capire le  differenti strategie e soluzioni messe in atto sia individualmente dagli intervistati, sia da loro in accordo con colleghi e/o responsabili.
Per quanto concerne, ad esempio, l’organizzazione del lavoro, oltre all’utilizzo di flessibilità come part-time verticale e orizzontale e all’utilizzo dei permessi previsti dalla legge 104/92, possiamo riportare le seguenti testimonianze di riorganizzazioni delle mansioni non ufficiali (ovvero distribuite tra i colleghi in maniera informale). Ecco alcune testimonianze dalle voci degli intervistati:

“Grazie al bel rapporto che c’è con la capa e i colleghi riusciamo a dividerci i compiti, quindi quelli a me inaccessibili li fanno loro. Loro hanno ammesso che io sono più preparata per quanto riguarda dare le informazioni  al pubblico,  mi dicono che loro non sarebbero in grado di spiegare e far capire al cittadino le cose come lo faccio io, quindi mi ringraziano per questo lavoro che gli tolgo” (1, F, 41 anni).

Sugli accorgimenti e le strategie di tipo tecnico gli intervistati dichiarano:

“in questo caso faccio copia e incolla della pagina web, su un documento di testo, e a questo punto vedendola solo come immagine la posso ingrandire” (14, F, 35 anni).

Uno scultore non vedente, invece, racconta: “Uno che vede, con la matita fa un segno e con il flessibile taglia fino a quello, io sto  appunto più abbondante e limo dopo così sono sicuro di stare sempre nel buono. Così ho la possibilità di controllare ciò che faccio” (6, M, 46 anni).

Per quanto riguarda, infine, accorgimenti di tipo fisico, gli  intervistati raccontano:

“Ho richiesto un posto vicino alla finestra per la luce, non avere la luce artificiale diretta proprio sulla postazione. Ho chiesto solo di non essere posizionata sotto il neon, perché mi stanca” (14, F, 35 anni).

“Visto che si lavora all’interno di un hopen-space, ricoperto da una moquette,  è stata creata una striscia senza moquette, poi sono state attaccate delle etichette in braille sulle macchinette del caffè ed anche sulle porte degli uffici con il nome” (18, M, 31 anni).

“Ho chiesto di darmi una scrivania raggiungibile e non sperduta. Appena entro, so che c’è una colonna e subito dopo c’è la mia scrivania. Questo è stato importante perché se me ne avessero data una in un altro punto, non sarei riuscita a raggiungerla da sola non avendo punti di riferimento” (12, F, 28 anni).

Nonostante non sia possibile generalizzare questi interventi per tutti i lavoratori non e ipovedenti che svolgono professioni non tradizionali, questi esempi possono essere considerate buone e semplici prassi,  attuabili  abbastanza facilmente, previo accordo con i propri responsabili e dirigenti.
Non è, però, il caso dell’inaccessibilità dei software, dei siti web o delle piattaforme per l’e-learning, per i quali esistono già alcune norme relative all’accessibilità delle tecnologie informatiche, le quali potrebbero essere rispettate, implementate e applicate maggiormente dai produttori e dai web designer. In questo caso non si tratta più di strategie individuali, si tratta bensì di far rispettare le leggi sull’accessibilità delle tecnologie informatiche, e di aumentare la cultura dell’accessibilità anche tra i produttori di software aziendali, magari proprio tramite azioni di sensibilizzazione e di informazione, come già proposto nel precedente  paragrafo.

3.4 Le relazioni in azienda e le competenze interpersonali

Un aspetto molto interessante della ricerca è stato quello di conoscere, dal punto di vista degli intervistati, come e se la disabilità visiva influenzi le relazioni  con i colleghi, i clienti o gli utenti.
Le risposte hanno evidenziato che in generale la disabilità visiva può influenzare e condizionare le relazioni; tuttavia, i soggetti intervistati hanno ritenuto che la disabilità visiva non agisce negativamente, a patto che la persona non vedente sappia approcciarsi in maniera appropriata. Ciò significa, tra l’altro, saper curare la propria immagine ed il proprio aspetto fisico, saper curare la propria igiene personale, tenere una postura adeguata (ad esempio, non tenere la testa bassa: come spesso accade a persone cieche dalla nascita): sapersi, quindi, presentare non solo verbalmente ma curando altresì aspetti del non verbale come la gestualità.
Alcuni intervistati ritengono, infatti, che le persone cieche dovrebbero tener conto di questi elementi per incrementare le loro opportunità occupazionali.
Nel sapersi relazionare sia con i colleghi  che con gli utenti è importante, secondo gli intervistati, porsi con apertura, flessibilità e disponibilità. Una di loro afferma:

“Mi trovo bene, sono anche nate delle amicizie. La disabilità visiva non sta influendo  sui rapporti con loro. A livello lavorativo diciamo  che influisce in parte in quanto non avendo una conoscenza di quelle che sono le potenzialità di un cieco tante volte o si frenano o ti chiedono una cosa improbabile cioè che è una stupidaggine per loro ma con i mezzi che abbiamo noi non è fattibile. In ogni caso i colleghi in generale mi hanno accolta subito. […] A volte si scordano che non ci vedo, e quindi scordandosene  ci sta il gesto, guarda quella cosa lì…. Io sono abituata a farci una risata sopra o a chiedere se non mi torna una cosa perché non l’ho capita, perché c’è stato un gesto…. Non me la prendo, anzi. Se fossero fatti con malignità sicuramente mi darebbe fastidio. Fatti perché uno si scorda che non ci vedi è un segno che c’è stata interazione e integrazione. I primi tempi infatti erano più in imbarazzo ad usare le parole, in particolare ad utilizzare parole legate al vedere… sì, erano più in imbarazzo, una volta che gli hai spiegato le cose invece diventa più facile. Io sono di quelle che pensa che il sorriso ti apre tante porte, io la penso così, quindi se il disabile parte già con un suo muro perché gli da noia certi atteggiamenti, gli da noia ammettere la propria disabilità, il muro non si abbatte. Se il disabile è conscio della propria problematica ma non ne fa un problema esistenziale, non è insormontabile a livello di socializzazione o altro. Spiegando le cose si risolve tutto” (19, F, 41 anni).

La maggioranza degli intervistati, come già accennato poche righe più sopra, pensa  che la tranquillità nel relazionarsi da parte della persona disabile derivi anche dall’accettazione del proprio deficit. La capacità, infatti, di saper spiegare le proprie difficoltà e le proprie esigenze, di scherzare sulla propria disabilità e di non prendersela di fronte a affermazioni inadeguate dei colleghi è indice di accettazione della propria disabilità. Questo risulta essere più difficile per coloro i quali perdono la vista in età avanzata o per coloro i quali conservano un buon residuo visivo. Un intervistato infatti racconta:

“Mi sono sempre presentato e la cosa che faccio sempre è spiegare quale è la mia percezione, perché  per chi è ipovedente non si capisce. Quindi i colleghi non capiscono le mie difficoltà. Prima non avevo consapevolezza di dover spiegare come vedevo, invece da quando ho imparato a spiegarlo la vita mi è cambiata” (3, M, 30 anni).

In generale, come abbiamo già visto, sembra essere proprio la solidarietà e il supporto dei colleghi che facilitano il lavoro dei ciechi soprattutto in quelle situazioni in cui chi non vede è costretto a dover leggere materiale cartaceo o files non accessibili. Un intervistato dichiara:

“Semplice, basta che vai da un collega, e gli dici, senti per cortesia mi leggeresti questo documento. Sì, non si dovrebbe fare, però integrazione e’ anche questo. Integrazione è anche parlare con un collega e dire io ho questo problema qua. Far capire al collega che con una lettura sono totalmente in grado poi di svolgere il mio lavoro” (4, M, 34 anni).

Se la disabilità non incide sulle relazioni interpersonali con i colleghi, alcuni intervistati affermano che questa, comunque, influisce sulle relazioni lavorative: sembra, infatti, che rivolgersi ad un collega vedente per chiedergli di portare avanti un compito sia più semplice che rivolgersi al non vedente: diversi intervistati hanno affermato che è più facile in quanto più immediata l’interazione davanti al monitor del computer.
Sull’influenza che la disabilità può avere nelle relazioni interpersonali con gli utenti del servizio, è stato interessante ascoltare il seguente punto di vista secondo il quale la disabilità può essere messa in secondo piano dal ruolo svolto dalla persona e quindi dalla sua professionalità:

“Per i rapporti con altri con cui ho contatti lavorativi, tipo i candidati, le università, ecc io all’inizio mi spaventavo molto perché dovevo fare colloqui e questi magari vedendo che io non vedo si sono impanicati. Invece ho visto che non è così, nel momento in cui  tu hai un ruolo,nel momento in cui non sei la non vedente ma sei la selezionatrice, la fisioterapista, l’insegnante di qualcosa insomma acquisti un ruolo , allora la disabilità passa in secondo piano. Cioè le persone parlano con me ma non perché sono non vedente ma perché vogliono essere scelte. O vanno da una fisioterapista perché vogliono essere curate” (12, F, 28 anni).

Due persone, infine, hanno messo in evidenza l’importanza della consapevolezza nell’uso del linguaggio non verbale e del fatto che i non vedenti dalla nascita non sono spesso coscienti di questo fattore. Sarebbe necessario, secondo loro, formare maggiormente le abilità dei ragazzi con disabilità visiva fin da piccoli proprio per una migliore integrazione con i vedenti.

3.5 Abilità di orientamento e mobilità autonoma

Tutti gli intervistati, anche coloro i quali si recano al lavoro accompagnati, sono concordi nel dire che il possesso di abilità di orientamento e mobilità non è importante solo ai fini lavorativi, e non solo per svolgere una professione non tradizionale, ma è importante per tutti, per una migliore inclusione sociale e non solo professionale. In molti casi gli intervistati hanno affermato che il possesso di queste abilità migliora le relazioni con i colleghi. Un intervistato ad esempio dice:

“Io la vedo difficile che senza questa capacità puoi rapportarti alla pari con gli altri, quindi secondo me è fondamentale. Non sei una persona che deve  essere accudita, ma sei semplicemente un collega  che non ci vede” (3, M, 30 anni).

Un altro afferma: “per esempio la mia responsabile, mi conosce, vede come mi muovo in giro, quindi quando capita  che devo andare cinque volte in trasferta a XXX, non dice, oddio, sto mandando un cieco da solo a XXX, oddio me lo schiaccia un treno, e questo non lo dice perché vede che sono una persona autonoma,  e questo influisce sul giudizio che lei ha di me. Vedere un cieco disinvolto nei movimenti, negli spostamenti, porta le persone a volte a dimenticarsi che non ci vede” (4, M, 34 anni).

Per concludere, è stato rilevato l’utilizzo  delle Tic anche per quanto riguarda la mobilità in città. Molte persone usano infatti le app per consultare gli orari dei treni, degli autobus, per monitorare i percorsi degli autobus stessi, per localizzare esercizi commerciali, ecc.

3.6 Competenza dell’imparare ad imparare

Dalle domande poste non è stato possibile comprendere se questa competenza debba essere necessaria per chi intende svolgere una professione non tradizionale.
Tuttavia, per quanto riguarda la consapevolezza dei propri punti di forza e delle proprie aree di miglioramento, le abilità maggiormente considerate come punti di forza sono state la comunicazione (queste persone si ritengono anche empatiche), le capacità organizzative, le capacità di lavorare per obiettivi, le capacità di adattamento e le capacità di problem solving.
Aspetti ritenuti da  migliorare in molti casi sono stati le abilità legate alla gestualità e al linguaggio non verbale, le competenze nelle lingue straniere e le competenze digitali.

3.7 Lo spirito di iniziativa e i percorsi professionali degli intervistati

Anche in questo caso è stato difficile, se non impossibile, valutare il possesso  di questa competenza da parte dei soggetti intervistati. Tuttavia, sia le motivazioni che i percorsi i quali hanno spinto gli intervistati a intraprendere  carriere non tradizionali e non protette da leggi speciali rivolte ai ciechi, sia alcune espressioni e parole usate nel corso delle interviste, lasciano pensare che la determinazione, la voglia di rischiare, la voglia di provarci e mettersi in gioco, la forza di volontà e le motivazioni siano elementi che rivestono un ruolo fondamentale per accedere a professioni non tradizionali.
Parlando del suo percorso e di cosa l’ha spinta a svolgere una professione non tradizionale, una degli intervistati, infatti, dichiara:

“Voler fare qualcosa di diverso. Non volevo omologarmi con la massa, non volevo sentirmi dire ah ok sei cieca e fai la fisioterapista o fai la centralinista. Volevo uscire da questi canoni. [e alla domanda “perché secondo lei i giovani non vedenti scelgono di fare i centralinisti o i massofisioterapisti?” continua così] Perché è più facile. Ti dà la possibilità di essere indipendente senza doverti destreggiare…. Non è facile riuscire a fare qualcosʾaltro, bisogna avere tanta forza di volontà anche doverti scontrare con quelli che sono degli stereotipi, delle idee che si hanno .. con una chiusura anche mentale che c’è da parte delle aziende. Perché non è così tutto scontato quando entri in una azienda, devi quotidianamente conquistarti il tuo spazietto e le tue competenze” (7, F, 35 anni).

C’è, inoltre, chi non ha  escluso dal suo percorso la possibilità di lavorare al centralino e alla domanda “che cosa l’ha spinta ad intraprendere un’altra strada?” ha risposto:

“E’ stata una sfida. Fare il corso da centralinista e cercare lavoro in quell’ambito sarebbe stato troppo facile. Mi ero detta: io il corso lo farò solo se non riesco a trovare altro. Volevo però prima vedere se riuscivo a fare altro, anche tramite concorsi pubblici. Ho trovato vari concorsi e ne ho fatti diversi e per fortuna ho vinto questo in regione. Il corso di centralino lo avrei fatto come ultima spiaggia. So che se avessi fatto quel corso e avessi trovato lavoro mi sarei fermata lì, perché sarebbe stato comodo. Mi sono quindi voluta spingere a cercare qualcosa di diverso” (17, F, 33 anni).

La presa di iniziativa di alcuni soggetti intervistati è espressa molto chiaramente, e talvolta anche in maniera davvero innovativa, nel loro approccio professionale con gli utenti; ecco alcune testimonianze:

“Devo essere io ad attirare la loro attenzione dicendo – guardi che può dire anche a me -. Quando entra qualcuno e magari ci siamo tutt’e tre, chiede in generale e tende a rivolgersi a chi intercetta il suo sguardo,  e se è un accesso a qualcosa lo devono fare per forza loro, ma se si tratta  di informazioni da dare, io mi prendo tutta la scena e riesco a far capire all’utente che deve rivolgersi a me. Poi ovviamente gli spiego che ho problemi di vista” (1, F, 41 anni).

Una scrittrice che tiene laboratori nelle scuole, parlando di come gestisce gli studenti in classe racconta: “Per risolvere il problema di quando alzano la mano ho risolto dicendo loro di fare un verso! Così posso sentirli e so che hanno alzato la mano” (16, F, 32  anni).

Tutti i soggetti intervistati affermano di sentirsi riconosciuti per il loro lavoro, alcuni si sentono valorizzati, ma dichiarano di voler fare di più e stanno cercando di essere propositivi:

“Però vorrei anche crescere a livello professionale, questa cosa non è facile, non è scontata devo quotidianamente chiedere se posso fare altro. Devo farmi avanti. Mentre per gli altri è forse un po’ più semplice la strada, perché viene in automatico nei nostri confronti c’è sempre questa cosa di dire ma cosa puoi fare? Questa cosa la puoi fare? Molto spesso quindi si trova quella piccola cosa da farti fare  ci si accontenta così…. Quindi a volte è più facile fare professioni tradizionali perché è un ambiente più protetto…. Le persone sanno che tu sei capace di fare quella cosa lì e ti riconoscono le tue capacità mentre in un altro ambito devi dimostrare, ecco Questo è secondo me la differenza e la questione” (7, F, 35 anni).

3.8 Azioni in sostegno di chi desidera svolgere professioni non tradizionali: i consigli degli intervistati

Innanzitutto, occorre evidenziare che più della metà degli intervistati, alla domanda “perché molti giovani non vedenti, che potenzialmente potrebbero svolgere altre professioni, scelgono di fare il centralinista o il massofisioterapista” hanno risposto con frasi del tipo “perché è più facile” e “Perché è più comodo”. Una persona inoltre osserva:

“Perché purtroppo  ci sono poche opportunità lavorative. Se vogliamo noi ancora sul mercato del lavoro siamo discriminati, anche perché ancora gli applicativi aziendali non sono accessibili. Magari il percorso universitario si affronta senza troppe difficoltà grazie alle tecnologie assistive, ma una volta arrivati al momento di trovare lavoro, ci si scontra con rifiuti e grosse difficoltà, e quindi il centralinista purtroppo ancora è il lavoro più facile da raggiungere e comodo da svolgere. Forse il problema è che la gente viene indirizzata verso il lavoro di centralinista sia dai centri dell’impiego, dagli Istituti, dalle Unioni Ciechi” (18, M, 31 anni).

Certamente il supporto della famiglia, la zona di origine e le condizioni socio-economiche di appartenenza determinano questa scelta.
Per quanto riguarda ciò che l’Unione Ciechi e cialis prix Ipovedenti dovrebbe fare per supportare i giovani, i temi maggiormente esposti dagli intervistati sono stati, in ordine di rilevanza con cui sono stati menzionati:

  • sensibilizzare e informare i datori di lavoro sulle capacità delle persone non e ipovedenti, in particolare informarli e/o mostrare loro (tramite conferenze,seminari, tirocini, ecc) gli ausili e le tecnologie assistive che possono essere usate dalle persone disabili visive ai fini lavorativi;
  • fornire corsi riabilitativi che permettano di acquisire competenze e abilità di vario genere: mobilità e orientamento, abilità comunicative (tra cui conoscenza dei linguaggi non verbali), cura della persona e del proprio abbigliamento, sapersi presentare (incluso anche aspetti dell’autopromozione), sapersi relazionare in maniera appropriata;
  • favorire gli incontri con persone cieche che già hanno intrapreso percorsi di carriera non tradizionale;
  • implementare servizi di accompagnamento al lavoro i quali includano anche servizi di orientamento scolastico e professionale e che informino anche le famiglie;
  • riflettere su nuove opportunità lavorative possibili per persone cieche e ipovedenti (nuove professioni);
  • supportare maggiormente chi già lavora rendendo accessibili gli applicativi aziendali e agendo su una maggiore accessibilità per quanto riguarda i corsi di formazione obbligatoria.

Sulla necessità di organizzare momenti di sensibilizzazione per le aziende, due intervistati aggiungono: “Il problema principale  è che i datori di lavoro non sanno che cosa siamo in grado di fare, cosa le tecnologie ci permettono di fare, e questo non permette loro di inserirci in un’azienda, o proporci un lavoro.  Non so se siamo noi a dover andare nelle aziende e dire  cosa siamo in grado di fare. Una cosa da cambiare, è il fatto che non dobbiamo obbligare le aziende ad assumerci, dobbiamo convincerle ad assumerci” (18, M, 31 anni).

“Quindi dovremmo fare un lavoro più capillare di sensibilizzazione sulla disabilità visiva, andare come Unione Ciechi, facciamo una mappatura di aziende del territorio, vediamo chi   ha posti liberi alle categorie protette, cerchiamo di fare un lavoro per informarli e allo stesso tempo capire cosa un cieco può fare in una certa azienda. Quali mansioni potrebbero essere accessibili. Integriamoci in professioni normali che fanno tutti. Chiaro poi con accorgimenti vari, però ci sono tante strade che possono essere fatte” (12, F, 28 anni).

Per quanto riguarda ciò su cui i giovani non o ipovedenti stessi dovrebbero puntare, gli intervistati hanno messo in luce i seguenti aspetti, sempre in ordine di rilevanza:

  • studiare e specializzarsi in ciò che più li appassiona, in quanto la passione è il motore della motivazione: credere in ciò che fanno è ciò che li aiuterà a specializzarsi e a portare avanti con determinazione il loro obiettivo professionale!
  • sviluppare le competenze tecniche, specifiche alla professione che desiderano intraprendere: infatti, anche secondo chi scrive, la professionalità e le elevate competenze tecniche possono superare ogni disabilità;
  • avere una solida istruzione e formazione di base.

Per quanto riguarda, invece, le competenze trasversali ipotizzate come predittrici dell’inserimento lavorativo in professioni non protette da leggi speciali, gli intervistati ritengono importanti:

  • le competenze digitali;
  • le abilità di orientamento e mobilità autonoma;
  • le competenze interpersonali;
  • le competenze linguistiche e interculturali;
  • lo spirito di iniziativa e imprenditorialità (la forza di volontà, l’autostima, l’essere motivati, il credere in se stessi e crearsi le proprie opportunità di lavoro).

Emerge che per alcuni intervistati le competenze interpersonali e le abilità di orientamento e mobilità sono persino più importanti delle competenze digitali, proprio perché per prime ti permettono di essere alla pari con gli altri e di integrarti.

Conclusioni

Per concludere, la ricerca ha effettivamente permesso di mettere in luce quali  siano, secondo gli  intervistati, le competenze chiave per l’apprendimento permanente che è importante possedere e sviluppare per svolgere una professione non protetta da leggi speciali per i ciechi.
Il risultato più importante raggiunto è stato comprendere come, secondo gli intervistati, si potrebbero supportare le persone con disabilità visiva le quali desiderano intraprendere strade non convenzionali. In particolare, ci sembra fondamentale la sensibilizzazione o informazione dei datori di lavoro rispetto a quelle che sono le capacità e i limiti delle persone non vedenti e ipovedenti, anche grazie agli strumenti informatici e tifloinformatici attualmente esistenti.
Rispetto a  quando fu varata la legge 68/99 molte cose sono cambiate e anche le opportunità di lavoro possono, oggi, essere molto più numerose. Occorre però, come alcuni intervistati hanno sottolineato, che le associazioni di categoria o le stesse persone con disabilità non si pongano dei limiti.
Inoltre, secondo chi scrive, occorre mettere in evidenza che il lavoro svolto dal collocamento mirato, istituito dalla legge 68/99, ha un ruolo fondamentale e gli orientatori dovrebbero essere maggiormente preparati e informati per l’orientamento professionale dei non vedenti, ed in particolare per la ricerca attiva di aziende disposte e desiderose di assumere lavoratori con disabilità visiva.
Questo, secondo chi scrive, dovrebbe essere compito dei dirigenti locali della UICI o delle  istituzioni collegate, i quali dovrebbero intraprendere azioni di formazione nei confronti di chi si occupa di inserimento lavorativo delle persone minorate della vista.
Certamente i risultati di questa ricerca, in considerazione del piccolo campione esaminato, non possono essere estesi all’intera popolazione dei soggetti non e ipovedenti che svolgono professioni non tradizionali. Questo studio potrebbe, però, essere un primo passo verso ulteriori approfondimenti:

  • in termini qualitativi per analizzare le esperienze personali, le difficoltà incontrate e comprendere il punto di vista di un maggior numero di soggetti su quali sono le competenze e le abilità che è opportuno sviluppare e come le associazioni di categoria potrebbero supportare queste persone. Infatti, l’autrice crede fermamente che  le azioni delle associazioni di categoria dei disabili debbano prendere il via dalle opinioni del gruppo di riferimento. Ascoltare le opinioni, la voce delle persone non e ipovedenti che desiderano provare ad intraprendere diverse e magari nuove carriere professionali o di coloro le quali già ci sono riuscite, è, secondo chi scrive, uno dei primi passi per attuare un percorso di cambiamento culturale il quale porterà verso una maggiore occupazione dei ciechi in settori non protetti da leggi speciali.
  • In secondo luogo questo studio potrebbe dare avvio ad una ulteriore ricerca che consenta di valutare oggettivamente le competenze tecniche e trasversali possedute da ogni soggetto.
  • Un terzo filone di ricerca potrebbe, invece, indagare gli strumenti più idonei per valorizzare le competenze delle persone non vedenti, e far sì che i datori di lavoro siano consapevoli  della produttività che anche una persona con disabilità visiva può offrire in una azienda, se in possesso degli idonei strumenti e dell’opportuna formazione.

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legge 11 gennaio 1994, n. 29 “Norme in favore dei terapisti della riabilitazione non vedenti”

Legge 12 Marzo 1999 n. 68 “Norme per il diritto al lavoro delle persone disabili”

Legge 17 maggio 1999 n. 144 “Misure in materia di investimenti, delega al Governo per il riordino degli incentivi all’occupazione e della normativa che disciplina l’INAIL, nonchè disposizioni per il riordino degli enti previdenziali”

Decreto del ministro del lavoro e delle politiche sociali 10 Gennaio 2000 “Disciplina generale del collocamento obbligatorio – Individuazione di qualifiche equipollenti a quella del centralinista telefonico non vedente”

Legge 3 aprile 2001 n. 138 “Classificazione e quantificazione delle minorazioni visive e norme in materia di accertamenti oculistici”

Raccomandazione 2006/962/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 18 dicembre 2006, relativa a competenze chiave per l’apprendimento permanente [Gazzetta ufficiale L 394 del 30.12.2006, pag. 10]

Decreto del ministro del lavoro e delle politiche sociali 11 Luglio 2011 “Equipollenza della qualìfica di operatore amministrativo segretariale alla qualifica di centralinista telefonico non vedente”

Decreto Legislativo 16 Gennaio 2013 n. 13 “Definizione delle norme generali e dei livelli essenziali delle prestazioni per l’individuazione e validazione degli apprendimenti non formali e informali e degli standard minimi di servizio del sistema nazionale di certificazione delle competenze”

Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni: Strategia europea sulla disabilità 2010-2020: Un rinnovato impegno per un’Europa senza barriere [COM(2010) 636 def. In: http://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/TXT/?uri=URISERV%3Aem0047 [Consultata il 24/01/2016]